Musica Sacra
Una riflessione dell’arcivescovo in merito al ruolo delle «scholae cantorum» nelle celebrazioni
Musica sacra, liturgica, cristiana
DI ERIO CASTELLUCCI *
La nostra Arcidiocesi, in sintonia con la Chiesa universale e la Cei, orienta le comunità cristiane ad una adeguata educazione musicale (coro, strumenti, animazione). La Costituzione conciliare Sacrosantum Concilium (1963) e l’Istruzione Musicam Sacram (1967) mettono al centro del rinnovamento liturgico la «actuosa participatio» («attiva partecipazione ») dei fedeli riuniti in assemblea (cf. SC n. 14, richiamata 8 volte in MS), essendo l’assemblea tutta intera – e non solo chi la presiede o chi svolge un ministero, come il coro e gli accoliti – il soggetto umano di quell’azione che ha per soggetto divino la Trinità insieme alla Chiesa celeste. Superando la concezione della liturgia come “cerimonia” alla quale il popolo “assiste”, il Concilio Vaticano II si è avvalso del rinnovamento liturgico, in atto da decenni, da cui emerge la profondità della liturgia come celebrazione dei misteri del Signore, a partire dall’anno liturgico e dai sacramenti. I misteri del Signore, che si celebrano nella liturgia coinvolgono i singoli e l’assemblea: di qui la «attiva partecipazione » di cui sopra: personale e comunitaria.
Da questo quadro derivano le indicazioni che la Costituzione conciliare offre circa il canto. Cito alcuni passaggi, sottolineando l’idea che più sta a cuore al Vaticano II: «L’azione liturgica riveste una forma più nobile quando i divini uffici sono celebrati solennemente con il canto, con i sacri ministri e la partecipazione attiva del popolo » (n. 113). «Si promuovano con impegno le “scholae cantorum” in specie presso le chiese cattedrali. I vescovi e gli altri pastori d’anime curino diligentemente che in ogni azione sacra celebrata con il canto tutta l’assemblea dei fedeli possa partecipare attivamente » (n. 114). «La Chiesa riconosce il canto gregoriano come canto proprio della liturgia romana; perciò nelle azioni liturgiche, a parità di condizioni, gli si riservi il posto principale. Gli altri generi di musica sacra, e specialmente la polifonia, non si escludono affatto dalla celebrazione dei divini uffici, purché rispondano allo spirito dell’azione liturgica » (n. 116). «Nella Chiesa latina si abbia in grande onore l’organo a canne, strumento musicale tradizionale, il cui suono è in grado di aggiungere un notevole splendore alle cerimonie della Chiesa, e di elevare potentemente gli animi a Dio e alle cose celesti. Altri strumenti, poi, si possono ammettere nel culto divino, a giudizio e con il consenso della competente autorità ecclesiastica territoriale (…), purché siano adatti all’uso sacro o vi si possano adattare, convengano alla dignità del tempio e favoriscano veramente l’edificazione dei fedeli » (n. 120). «I musicisti animati da spirito cristiano comprendano di essere chiamati a coltivare la musica sacra e ad accrescere il suo patrimonio. Compongano melodie che abbiano le caratteristiche della vera musica sacra; che possano essere cantate non solo dalle maggiori “scholae cantorum”, ma che convengano anche alle “scholae” minori, e che favoriscano la partecipazione attiva di tutta l’assemblea dei fedeli » (n. 121).
La Conferenza episcopale italiana poi, nel 1979, ha pubblicato una Nota sul «canto nelle celebrazioni liturgiche», dove si legge: «In seguito al rinnovamento liturgico, anche il compito delle “scholae” si è accresciuto per mole ed importanza. Una “schola”, anzitutto, non è una parte a sé stante o tanto meno in contrapposizione con l’assemblea, ma è parte di questa ed esercita tra i fedeli un proprio ufficio liturgico» (n. 3). Dal Concilio ad oggi si va affermando una distinzione nell’ambito della musicologia sacra. La «musica sacra» (comprendente strumenti e/o coro) include ogni composizione religiosa “ispirata”; la «musica liturgica » è quella parte della musica sacra che accompagna la liturgia, favorendo l’attiva partecipazione dell’assemblea; la «musica cristiana» è quella parte della musica sacra che interpreta l’esperienza di fede, senza essere necessariamente legata né alla liturgia né ai testi sacri. Nella liturgia si possono eseguire alcuni brani sacri non liturgici (ad es. l’Ave verum, l’Adoro Te Devote, Inni mariani, ecc.), anche quando l’assemblea non li canta: ma dovrà trattarsi di un ascolto che favorisce la «attiva partecipazione » dell’assemblea. La Messa non è un concerto e i fedeli non sono spettatori. Normalmente la musica cristiana non liturgica andrebbe invece esclusa dalle celebrazioni, a meno che non si tratti di celebrazioni riservate ad alcuni gruppi (uscite scout, liturgie di un movimento, e simili) e si limiti anch’essa a qualche canto per ogni liturgia.
* arcivescovo
IL CANTO E’ PREGHIERA
Nella liturgia il canto è preghiera, festa, partecipazione personale e comunitaria. La musica e il canto hanno la forza di andare dentro le parole, come aldilà delle stesse, di vitalizzarle e farle scendere nel cuore. Ecco perché da sempre Israele e a Chiesa affidano al canto e agli strumenti musicali la preghiera e la lode al Signore. Dal canto del mare dell’Esodo (Es 15) fino al canto di Mosè nell’Apocalisse (Ap 15,3-4) tutta la Bibbia è un intarsio di canti e di preghiera. Tra i 73 libri che costituiscono la Sacra Scrittura ce n’è uno formato da 150 componimenti “tehillim” che funge da “libro dei canti”della Bibbia , è il Salterio. 150 preghiere da eseguire con strumenti musicali e modi particolari! Sono canti per la lode , per l’adorazione, la vittoria, la sconfitta, l’amore e il dolore. Canti per ogni ora. L’ultimo di questi, il Sal 150 invita a non fermarsi lì, ma a “cantare un canto nuovo”.
Spesso, termometro della liturgia, in una comunità, è il suo libretto dei canti. Antiquato, sgualcito, buttato sui banchi, o curato e aggiornato ed in ordine…Il libro dei canti è un importante segnalatore di come si loda Dio e di come si considerino i fratelli: attenzione e riguardo o stanchezza e trascuratezza.
Il bel libro dei canti dice il desiderio di donare uno strumento rinnovato e fresco per la liturgia. Insieme a nuovi brani, frutto del lavoro di artisti e comunità cristiane si troveranno canti “non più giovani” che la tradizione ci ha donato. Il libro dei canti deve essere un po’ come lo scrigno del saggio padre di famiglia dove si possono trarre “cose nuove e cose antiche”(MT 15,52), perché la nostra liturgia sia veramente incontro: con Dio e con i Fratelli, incontro di generazioni, incontro di Chiesa. Guai alla comunità che boccia il suo passato e guai a quella che disdegna il “canto nuovo”.